Che brutte le Torri Gemelle

“Nel 1974 quando le vidi finite fu per me un colpo. Lo stile architettonico di quegli anni era moderno, ma non avant-garde e seppur fossi solo una bambina a me non piacquero”. La giornalista Mariaceleste de Martino ricorda le Twin Towers e racconta il suo 11 Settembre.

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Questo è il video originale della Port Authority of New York and New Jersey che descrive la costruzione del World Trade Center, all’inizio degli anni ’70.

E questi sono i ricordi della giornalista italo-newyorkese Mariaceleste de Martino sulle Torri Gemelle e sugli attentati dell’11 Settembre 2001:

Urlare al mondo intero quello che è successo quel giorno serve per non dimenticare e per ricordare che ogni momento della propria vita è prezioso. Ne sentono la necessità i sopravvissuti dell’11 settembre che ho intervistato, che in questi dieci anni hanno vissuto la catastrofe come un incubo ricorrente e con angoscia, e con profondo dolore raccontano la perdita di un figlio, di un parente, o di un amico. Parlano di come sono intervenuti per soccorrere le persone intrappolate nelle Torri, delle conseguenze sulla loro salute, ma di non essere loro gli eroi, piuttosto le vittime del crollo.

Ma non è crollata la nazione, che non si abbatte e si sente più forte. New York City, la mia città natale, che mi ha allattato, nutrito, cresciuto, amato, la città che non dorme mai, continua a vivere guardando al futuro, come impone la Cultura degli Stati Uniti. L’ingenuità americana, e forse anche la presunzione di pensare che nulla potesse mai attaccare la nazione più potente del mondo, ha fatto abbassare la guardia alla capitale dell’Impero moderno, e inaspettatamente ha così incassato il colpo più duro della Storia.

Ero piccola quando le Torri Gemelle furono costruite. Nel 1974 quando le vidi finite fu per me un colpo. Lo stile architettonico di quegli anni era moderno, ma non avant-garde e seppur fossi solo una bambina a me non piacquero, non le trovavo eleganti, e non mi piaceva neanche quello che rappresentavano, ovvero il centro del mondo finanziario, quello che produce il potere del soldi, simbolo della grandezza economica. E poi, erano più alte del mio amato Empire State Building, il grattacielo scalato da King Kong, un gigante buono considerato un mostro che fu abbattutto a colpi di mitragliatore.

Ad essere abbattuta è stata la sicurezza americana, e a farlo sono stati 19 mostri del terrorismo, giovani uomini in nome di Allah venuti a vivere in America con un unico sogno, quello di cominciare la guerra del terrorismo, sin dal 1993, dal primo attentato al WTC. E la reazione è stata altra guerra, quella in Afghanistan e quella in Iraq, seguite dagli attentati a Madrid e a Londra, per mano di Al Qaeda, che con l’uccisione di Osama Bin Laden sarebbe sulla via della sconfitta, dice il presidente Obama.

“9/11” non è solo una tragedia americana, ma è una tragedia umana. E la Primavera araba ne è la dimostrazione. Un popolo che vive per la libertà, per l’uguaglianza, per la giustizia dall’altro lato dell’Oceano Atlantico, e da un’altra parte del mondo i giovani arabi che lottano per gli stessi valori: pace, sicurezza, un futuro più facile, per godersi il dono prezioso della vita. Uniti dagli stessi ideali. Quegli ideali per i quali la mia famiglia andò negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, con un cugino di mio nonno, un magistrato che fu ucciso negli anni ’20 perché lottava contro la mafia locale a New York City, e mio padre che andò lì per studiare all’università, venuto da una famiglia borghese-aristocratica della Costiera amalfitana, e mia madre stilista che portò la moda italiana nel cuore di Manhattan, e io, una Hippy baby, mi considero cittadina del mondo e vivo perennemente divisa tra i due continenti, con il cuore partenopeo-italiano in America e la mentalità newyorkese-americana in Italia. Abbattuta due volte dall’11 settembre 2001, sia come donna americana, sia come donna con origini che portano al mondo mediorientale.

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