Come portare la Superbike sul Cloud

Tra poco Aruba cambia casa. La sede legale dell’azienda si trasferisce in via San Clemente, in località Briolo a Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo (nella foto sopra il concept). La notizia arriva direttamente dall’Amministratore delegato Stefano Cecconi.

Il gruppo di Arezzo sposta la sua ‘base operativa’ presso l’area industriale della ex-Legler, acquistata con un investimento di 10 milioni e mezzo di euro. Passano ad Aruba i 168 mila metri quadrati della ex-industria tessile con capannoni e uffici per circa 60 mila metri quadrati e la centrale idroelettrica da 1.200 KW di potenza.

In autunno, racconta Cecconi, ci sarà l’inaugurazione di quello che è destinato a diventare il più grande data center della società aretina, il terzo di proprietà in Italia (ci sono altri due ad Arezzo, uno nella Repubblica Ceca e tre data center in partnership in Europa). Tra i clienti ci sono la Banca d’Italia e l’Agenzia delle entrate.

“Noi abbiamo un pallino da sempre, fare le cose da soli”, racconta il numero uno dell’azienda. “Abbiamo costruito i data center anche se non era indispensabile per i servizi di hosting, le smart card per firma digitale e oggi forniamo le tessere sanitarie”. L’ad  ci parla nell’area hospitality a Imola, durante le prove del gran premio d’Italia del campionato mondiale Superbike, la ‘gara di casa’ per il team Aruba Ducati (nella foto sotto Stefano Cecconi con Chaz Davies, protagonista di un’avvincente doppietta).

L’idea di creare un team Sbk segue il filo conduttore ‘facciamo da soli’: “E’ maturata dopo alcuni anni come sponsor del Torino calcio,  che abbiamo affiancato dalla serie B alla serie A, ma quando siamo partiti coi servizi cloud avevamo bisogno di un respiro europeo, pur rimanendo nella sponsorizzazione sportiva. Quindi abbiamo pensato ‘facciamolo noi un team’. Abbiamo scartato ipotesi come il campionato Moto Gp dove gli slot sono bloccati, invece su Sbk ci si mette la faccia, nel bene e nel male.”

Un investimento soddisfacente, “con un ottimo ritorno perché Ducati è un brand molto amato nel mondo”, sottolinea l’ad. “C’è un match molto alto tra ingegneri, informatici, spesso Ceo e Cfo e il mondo delle moto. Un ducatista lo trovi sempre nelle aziende di ogni Paese” e così il marchio diventa un passaporto di credibilità e immagine per l’azienda toscana.

Il Cloud e il Cispe

Tra un anno esatto sarà in vigore il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati: più tutele per i cittadini e gli utenti internet ma anche pesanti sanzioni per le aziende che non si adegueranno. Il GDPR, General Data Protection Regulation (Regolamento UE 2016/679) intende rafforzare e unificare la protezione dei dati personali nei Paesi dell’Unione ma affronta anche il tema dell’esportazione di dati personali al di fuori dell’UE.  “Il GDPR introduce un problema perché prevede sanzioni a parer mio sproporzionate: 20 milioni di euro o 4% del fatturato per qualche azienda è esagerato”, sostiene Cecconi.

“Noi abbiamo seguito tutte le evoluzioni normative, abbiamo preso contatti con altri fornitori Cloud  e con le autorità di Bruxelles per la stesura del codice di comportamento Cispe. Il GDPR lasciava aperta la possibilità di stendere un codice di condotta, che una volta approvato diventa vincolante per tutti, anche per quelli che non hanno partecipato alla sua stesura.”

Il Codice di Condotta per la protezione dei dati Cispe prevede che tutti i servizi Cloud dichiarati a norma siano identificati da un particolare marchio di garanzia, che offre ai clienti e ai cittadini la libertà di archiviare ed elaborare i propri dati all’interno dello Spazio Economico Europeo. Inoltre, lo stesso marchio garantisce che il provider di servizi Cloud non acceda o utilizzi i dati del cliente per scopi personali, come, in particolare, operazioni di data mining, data profiling o di marketing diretto.

E poi c’è anche la questione del mercato del Cloud, “ancora selvaggio, ancora nuovo quindi partire da un documento tecnico a tutti gli effetti rappresenta una base comune, comincia a creare un minimo di linguaggio comune. Anche l’utente potrà vedere che c’è un bollino con alcune garanzie come in altri settori dove ci sono dati confrontabili come tariffe e quantità. Su Cloud non ci sono ancora standardizzazioni e stiamo cercano un linguaggio comune per tutti, poi per quanto riguarda i clienti che vinca il migliore”.

Formazione vicino a casa

Le famose ‘skills’ digitali e il lavoro dei giovani, per concludere: “Noi non portiamo molto al mercato del lavoro ma facciamo fatica a trovare le persone con le competenze che ci servono, soprattutto tecnici sistemisti che magari hanno studiato filosofa e fanno gli sviluppatori php. Le aziende fanno recruiting già nelle facoltà, i talenti vengono molto contesi”, dice Cecconi.

La struttura del lavoro nel gruppo è un po’ diversa: “Siamo disseminati sul territorio e, come con i data center, sradicare le persone funziona poco e spesso non si crea un rapporto duraturo, parliamo di persone con competenze alte che appena possono se ne tornano a casa”. Quindi si va sul territorio a inseguirle. “Il risultato c’è – a parte il telelavoro – perché per le persone è importante stare insieme anche in piccoli team di 5 o 6 persone”. E questo perché sviluppare software è un lavoro complesso e collettivo. “I nostri centri di lavoro hanno da 20 a 25 persone” e si potrebbe fare di più, ma mancano le indispensabili competenze. “Facciamo selezione continua ma non abbiamo nemmeno abbastanza candidati. Sviluppatori e progettisti di sistemi It o sistemi network non si trovano, si fanno scegliere.”

Non resta che puntare sulla formazione, sia interna sia come supporto alle università.  “Ad Arezzo abbiamo una sede distaccata di ingegneria informatica del Politecnico di Milano, abbiamo turni di lavoro per studenti lavoratori, collaboriamo con Istituti superiori, aiutiamo i giovani a fare training nelle grandi aziende”, ci tiene a precisare l’ad, “e anche in questo facciamo da soli.”

Celia Guimaraes @viperaviola

 

 

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