Spot, il cane-robot in missione a Chernobyl

Lo abbiamo visto giocare, salire le scale, aprire porte, caricare lavastoviglie, fare la guardia. Ora Spot, il cane-robot, è diventato grande e ha compiti importanti

Spot, il famoso cane robot di Boston Dynamics, è in missione a Chernobyl, per misurare i livelli di radiazione nell’ex centrale nucleare, indimenticabile luogo di uno dei disastri nucleari tra i più gravi della storia.

Adesso Spot ‘scodinzola’ nel sito e, grazie ai dati raccolti dai suoi sensori, i ricercatori dell’Università di Bristol potranno creare una mappa in 3D del calore e della distribuzione delle onde elettromagnetiche pericolose tutt’ora presenti in zona.

Perché a oltre trent’anni dal disastro, avvenuto nell’aprile 1986, Chernobyl resta una città fantasma, dove vagano cani randagi e rari turisti interessati a vedere da vicino la ‘location’ della catastrofe e della nota serie tv di Hbo, che racconta come vigili del fuoco e primi soccorritori sacrificano se stessi per contenere le conseguenze dell’evento. E dove ancora oggi, i pericoli per la presenza umana non sono venuti meno.

Spot è al lavoro nella zona dell’Unità 4, dove ebbe inizio la perdita del reattore nucleare, a seguito del surriscaldamento. Il robot può indugiare senza rischi sia all’interno che all’esterno del sarcofago, la struttura in cemento armato costruita appositamente, anni dopo, per contenere le emissioni di materiale radioattivo.

Non per gioco ma per lavoro

Spot non è un surrogato di animale domestico o un giocattolo: con le sue quattro zampe, può correre, arrampicarsi ed evitare gli ostacoli, vedere a 360 gradi ed eseguire una serie di compiti programmati come, appunto, le ispezioni a Chernobyl, ma anche in luoghi potenzialmente pericolosi come cantieri e miniere.

Da quest’anno, Spot è stato disponibile per istituzioni, sviluppatori e accademici, che possono acquistarlo in un kit e assemblarlo. A Singapore, è già lavoro nei parchi per invitare i visitatori a rispettare la distanza di sicurezza per contrastare la diffusione del Covid 19.

epa08411439 A handout photo released by the Government Technology Agency of Singapore (GovTech) of a four-legged robot named Spot which broadcasts a recorded message to remind people to observe safe distancing measures in the Bishan-Ang Mo Kio park in Singapore, 08 May 2020 (issued 09 May 2020). The robot is on a two-week trial from 08 May 2020 to assist parks with safe distancing measures to prevent the spread of Covid-19. EPA/GOVTECH HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

L’azienda che lo produce è uno spin off del celebre Massachussetts Institute of Technology, l’istituto di tecnologia più importante al mondo. Nata nel 1992, ha avuto investimenti importanti da colossi del tech  a partire da Google X, tra 2013 e 2017, e  dalla giapponese Softbank Group, che è ancora proprietaria dell’azienda.

A novembre la stampa tech ha diffuso notizie secondo cui Softbank Group sarebbe in trattative per vendere Boston Dynamics Inc. alla casa automobilistica sudcoreana Hyundai Motor Co., per una transazione -non confermata dalle parti –  del valore di un miliardo di dollari.

Il cane robot ha fatto un ingresso trionfale al Web Summit di Lisbona nel novembre 2019, percorrendo il corridoio centrale dell’arena tra una folla di 60 mila giovani entusiasti. Nell’occasione, il Ceo di Boston Dynamics ha raccontato la sua evoluzione, durata 5 anni, fino alla versione finale ora disponibile al costo di circa 70 mila euro.

 

 

 

Spot nel frattempo  è diventato talmente famoso da ispirare, si dice, una delle puntate della quarta serie Netflix Black Mirror, ‘Metalhead’. Un protagonista non troppo rassicurante, è vero. Ma ha dato lo spunto anche ai nuovissimi piccoli robot, creati dagli studenti del Mit, che giocano a pallone e fanno le capriole… in attesa di diventare grandi.

Celia Guimaraes @viperaviola

Il senso di Black Mirror per il coronavirus

La pandemia può essere considerata un episodio ‘reale’ della serie tv più inquietante? Ne parlano il sociologo Derrick De Kerckhove e gli autori del libro ‘Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale’

Celia Gumaraes e il sociologo Derrick De Kerckhove

Il 4 dicembre 2011 andava in onda in Gran Bretagna, su Channel 4, ‘The National Anthem’, prima puntata della serie televisiva Black Mirror: il primo ministro, sotto ricatto, deve compiere un atto osceno. Il governo opta per non cedere, ma la decisione trapela su YouTube. Niente spoiler: finisce male.

Perché nel mondo di Black Mirror tutto, o quasi, finisce male. Dalle sei puntate delle due stagioni britanniche (più speciale di Natale) ai 15 episodi delle tre serie successive, prodotte da Netflix, che ne acquistò i diritti. Black Mirror, ormai celebre, è sinonimo di ‘distopia digitale’, che prosegue con un film interattivo, Bandersnatch, dove è il pubblico a scegliere, schiacciando un pulsante sul telecomando, il terribile destino dei protagonisti.

De Kerckhove: non c’è resistenza

Ecco come la vede il celebre sociologo, autore, accademico e direttore di Media Duemila

“Black Mirror non dà un’idea di resistenza, ti dice solo che le cose sono terribili” – Derrick De Kerckhove

Una puntata vera?

Sulla serie tv ci sono saggi e libri, che spesso si interrogano sulla visione apocalittica di una società digitale dove l’essere umano è smarrito e sconfitto. Ed ecco che, nel mondo reale, arriva la pandemia del virus Sars-Cov-2.

“Da tanti anni siamo immersi in un contesto comunicativo che viene descritto con metafore come quella della virilità, della promiscuità, del corpo a corpo”, spiega il ricercatore Vincenzo Susca, autore, con la collega Claudia Attimonelli, di ‘Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale’ (p. 352, Editore Mimesis, 2020), presentato a Internet Festival 2020, a Pisa, con il sociologo De Kerckhove.

Il parallelismo tra pandemia e distopia della serie tv, per Susca, è reale: “La pandemia, trattandosi di una vitalità di tipo biologico, ci ha mostrato quanto si possa soffrire di una condizione in cui l’altro diventa pericoloso, problematico”. E questo perché dal diciottesimo secolo eravamo abituati “a vivere tra gli artifici, ‘mediatizzando’ la propria esistenza, tuttavia di pari passo con mobilità, dinamismo, attraversamento, viaggi”.

Bisogni fondamentali, che a causa della pandemia sono stati “schiacciati sulla sopravvivenza biologica ed economica, come se tutto il resto non contasse, dimenticando la storia dell’antropologia secondo la quale l’umano vive sostanzialmente grazie e per ciò che perde, non per quello che guadagna”.

Come nella serie tv, la pandemia ci ha in qualche modo sconfitti: “In nome del restare sani, restare a casa e continuare a produrre, studiare, lavorare, abbiamo dimenticato l’essere insieme, in quel che ha di più interessante e vitale, ovvero quello che non ha finalità”, conclude Susca.

Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca, autori di ‘Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale’

Dall’oscurità all’aurora del post umanesimo

“Il titolo del nostro libro parte da ‘un oscuro riflettere’ perché Black Mirror è ciò che accade oltre lo schermo nero”, spiega la co-autrice Claudia Attimonelli, dove “siamo gettati in un condizione di oscurità perché non sappiamo che cosa ne è della nostra esistenza digitale, non la controlliamo perché la nostra immagine, la nostra reputazione digitale, il controllo che gli altri hanno della nostra vita elettronica sono al di là della nostra possibilità di essere presenti e costantemente vigilare”.

“E la pandemia ci ha messo in questa condizione di colpo”. Però emergono segnali positivi che, secondo Attimonelli,  non sono da ricercare nella visione negativa di Black Mirror: “Questa è la seconda parte del titolo, vi è secondo noi un’idea di ‘aurora digitale’, qualcosa che sta sbocciando, in questo contesto così oscuro, di positivo”.

Nella serie Black Mirror, prosegue l’autrice,  l’approccio con la cultura digitale ha “una visione apocalittica, pessimistica e catastrofica che ci mette molto a disagio, sempre. Non c’è mai una puntata in cui qualcuno riesce ad ad opporre una vera resistenza alla tragedia nella quale il personaggio viene immerso”. E quindi “sembra di trovarsi di fronte al dilemma apocalittici-integrati”, di Umberto Eco.

Secondo gli autori, invece, bisogna “comprendere che le cose stanno così; è una costatazione della realtà quella in cui siamo immersi, abbiamo notifiche continuamente, siamo sollecitati a questo tipo di legame continuo con lo spazio digitale. Se riusciamo a intravedere in questa condizione il cambiamento che l’umano sta vivendo, se riusciamo ad abbandonarci ad un post umanesimo probabilmente scorgiamo l’aurora. Perché altrimenti saremo definitivamente frustrati dal fatto di non poter cambiare lo stato delle cose”.

Celia Guimaraes @viperaviola