Rinunciare alle tentazioni? Non senza un robot

Esistono macchine e strumenti digitali che ‘allontanano dal piacere’ e rafforzano la volontà, racconta Paolo Gallina, professore dell’Università di Trieste, autore di “Un robot per vincere le tentazioni”. Come funzionano – e soprattutto – con quali implicazioni etiche

Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni”.  La celebre frase di Oscar Wilde, scrittore, poeta, drammaturgo e saggista, nato a Dublino nel 1854 e morto a Parigi nel 1900, a soli 46 anni, è l’esempio di una ‘vittima’ delle proprie tentazioni – e della società retrograda dell’epoca.

A non riuscire a resistere alle tentazioni, però, oggi lo siamo un po’ tutti, sostiene il professor Paolo Gallina, dell’Università di Trieste.  E questo perché viviamo in un’epoca di sovrabbondanza di opportunità, di mezzi, di cibo. E per questo abbiamo aiuti esterni.

Sembra strano , ma uno dei primi ‘congegni’ della storia, inventati per obbligarci a rinunciare alle tentazioni è stata la sveglia. “Ma oggi – racconta Gallina – complice lo sviluppo tecnologico, ne esistono di molti tipi, come le applicazioni che monitorano l’attività fisica e ricordano quante volte a settimana si deve uscire per correre e rimettersi in forma: sono le ‘macchine anti-edonistiche‘, congegni studiati per combattere le tentazioni, evitare la soddisfazione di un piacere immediato”.


Le Mae servono proprio a spingerci verso motivazione e consapevolezza, con un espediente tecnologico – un robot, un dispositivo, un’app –  che vincola le persone alla decisione presa, sono gli elementi essenziali di questo processo.

Nel libro (Edizioni Dedalo), Paolo Gallina, che è professore ordinario di meccanica applicata alle macchine e robotica al Dipartimento di ingegneria e architettura dell’Università di Trieste, descrive la complessa interazione delle Mae, le macchine anti-edonistiche con la psicologia umana, combattuta tra istinti, forza di volontà, doveri e obblighi sociali.

Diventare virtuosi talvolta va oltre le nostre sole forze, sottolinea il professore: “In questo caso la tecnologia rafforza il proposito delle persone di liberarsi da un’abitudine di cui hanno perso il controllo”.

Un timer che ci consente l’apertura della porta del frigo in orari prestabiliti, un dispositivo che ci impedisce di mangiarsi le unghie, sono alcuni di questi aiuti esterni che la tecnologia ha reso più sofisticati, alo scopo di ‘allertarci’ in caso di comportamenti deviati.

Paolo Gallina studia il rapporto tra uomo e macchina e come la tecnologia sta cambiando l’esperienza e le dinamiche umane e interpersonali e sottolinea anche “i potenziali effetti collaterali della condivisione di dati personali: un eventuale insuccesso nel raggiungimento dell’obiettivo dichiarato infatti può esporre a commenti negativi e danneggiare la persona che si è esposta pubblicamente”. Servirà quindi un algoritmo per farci abbandonare i social network?

Celia Guimaraes @viperaviola

 

 

Per il presidente Joe Biden è il momento di pedalare. Senza internet, però

Insediamento e festeggiamenti finiti, per il presidente americano Joe Biden è ora di rimboccarsi le maniche e trasferirsi, armi e bagagli, al 1600 di Pennsylvannia Avenue. Ma tra le sue cose personali c’è un oggetto che non potrà varcare la soglia della Casa Bianca: la cyclette connessa a internet.

 

Come oltre tre milioni di suoi concittadini, infatti, anche Biden si allena con una bicicletta statica connessa al web,  dotata di telecamera e microfono, che gli consente di interagire e gareggiare con altri riders da salotto. Una soluzione comoda e divertente, che però per gli esperti di cybersecurity, mette in gioco persino la sicurezza nazionale.

Come spiega Pierluigi Paganini, esperto di cybersecurity del board Enisa, l’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza informatica, è rischioso aver qualsiasi cosa non ‘customizzata’ connessa a internet se sei il presidente degli Stati Uniti d’America: “Un attaccante, ad esempio, può agire in modo ‘collaterale‘, attraverso la cyclette entrare nella rete in uso e da lì accedere persino ad un computer”.

Il presidente Biden è stato quindi avvertito dai suoi Men in Black: senza modifiche, niente cyclette. Il modello in questione, molto popolare,  ha un software proprietario basato su sistema operativo Android, può accedere alla rete domestica via cavo o wifi. E’ lo stesso di un’altra utente celebre, la ex first lady Michelle Obama, che però venne modificato tre anni fa, nonostante non fosse più alla Casa Bianca: via microfono, via telecamera e zero rete. Poco interattivo, ma molto più sicuro, per indiretta ammissione della stessa casa produttrice.

I rischi di avere tutto sempre connesso

La cybersecurity è, oggi più che mai, una priorità e la stessa amministrazione Biden ha già provveduto alla nomina di sette esperti di altissimo livello per occuparsi della questione a tutto tondo, dai satelliti agli attacchi hacker.

Nel mondo di IoT, internet delle cose, gli oggetti dialogano con noi ma anche tra di loro. Tv, frigorifero, robot da cucina, gadget, lampadine, assistenti vocali e ovviamente smartphone. Un chiacchiericcio continuo, in lingua digitale, che genera una massa enorme di dati.

E sempre secondo Paganini, anche se non siamo celebrità o presidenti, dobbiamo stare particolarmente attenti: “L’impronta digitale generata da questi devices connessi genera dati sensibili importanti che riguardano la nostra salute, la nostra privacy, il nostro conto in banca”.

Secondo la società di ricerche Gartner, l’anno scorso, a causa della pandemia, abbiamo speso quasi 70 miliardi di dollari in dispositivi indossabili, soprattutto smartwatch e braccialetti fitness, spesso per per tenere sotto controllo i parametri della salute. Un mercato in crescita veloce (sempre secondo Gartner, arriverà a 85 miliardi di dollari nel 2021 e 93 nel 2022). Il che apre non pochi interrogativi sulla gestione dei dati personali.

 

Celia Guimaraes @viperaviola

“Tu mi ami?” Gli auguri dei robot a ritmo di twist spaccano il web

“Tutta la nostra ‘banda’ si è riunita per celebrare l’inizio di quello che speriamo sarà un anno più felice: Buon Anno Nuovo da tutti noi di Boston Dynamics”. I robot dell’azienda americana, di recente passata ai sudcoreani, ballano e divertono…ma anche terrorizzano

Nata da una costola del Mit di Boston, l’azienda di Waltham – da poco acquistata dalla sudcoreana Hyundai –  non nuova alle sorprese, ha pubblicato una strabiliante sequenza di ballo da 2’55” con i loro robot, in perfetto sincronismo.

“Do You Love Me?”, twist scatenato di enorme successo nel 1962 – nella versione di The Contours –  ha fatto venire a molti la voglia di rock acrobatico.

A ballare, due dei modelli umanoidi Atlas, più Spot, il robot cane (che, tra tante altre funzioni, sorveglia i parchi a Singapore e perlustra l’ex centrale nucleare di Chernobyl) e Handle, un robot con le ruote progettato per lavori pesanti nei magazzini.

Spopola su YouTube, scoppia la polemica

Il video ha avuto oltre 16 milioni di visualizzazioni in 24 ore ed è entrato nella Top Five dei più visti su YouTube. C’è stato, in rete, un certo scetticismo sul fatto che i robot possano effettivamente ballare il twist in modo così realistico e si è ipotizzato l’uso di Computer Generated Image, molto diffuso nel cinema di animazione.  Ma persino il creatore di Tesla, Elon Musk,  ha ammesso su Twitter: “Questa non è CGI”.

La paura fa Terminator

Circa 160 mila persone hanno applaudito (con i ‘like’ sul video) le mosse dei robot, colpite dall’enorme salto in avanti fatto dalla tecnologia in questo campo. Altri, secondo MassLife, sembravano invece spaventati da tanta destrezza. Oltre 13 mila persone hanno criticato il video e molti hanno lasciato commenti negativi, anche su altri social media, che non sono stati censurati.

“Un po’ inquietante, devo ammetterlo”, ha twittato Carl Bildt, diplomatico svedese membro del Consiglio europeo per le relazioni estere. “Mi ami? Non quando vieni ad annientarci”, ha twittato Jan Nicolas, fotografo. Altri ancora si domandano cosa succederebbe se i robot avessero armi in dotazione, qualcuno ricorda la saga di Terminator e chiede “Dov’è Sara Connor?”.

Un successo per l’azienda diventata sudcoreana

Spot aveva fatto un ingresso trionfale al Web Summit di Lisbona nel novembre 2019, percorrendo il corridoio centrale dell’arena tra una folla di 60 mila giovani entusiasti. Nell’occasione, il Ceo di Boston Dynamics aveva raccontato la sua evoluzione, durata 5 anni, fino alla versione finale diventata disponibile al costo di circa 70 mila euro.

A metà dicembre 2020, esattamente un anno dopo la commercializzazione,  Spot e i suoi amici robot cambiano padrone, passando nelle mani di Hyundai, che ha acquistato Boston Dynamics. La multinazionale sudcoreana del settore automotive ha annunciato l’acquisizione da SoftBank il controllo dell’80% dell’azienda americana di robotica, una operazione da 1,1 miliardi di dollari.

Si tratta del terzo passaggio di proprietà per Boston Dynamics, dopo Google e la giapponese (con investimenti arabi) Softbank, che manterrà il restante 20%.

Più robot nell’automotive

L’obiettivo è unire le competenze di Boston Dynamics – che, oltre al famoso Spot, progetta robot industriali e per la telemedicina – all’esperienza di Hyundai nel settore della mobilità. Le applicazioni possibili vanno dalla guida autonoma, alla connettività, alle fabbriche smart e all’intelligenza artificiale applicata all’auto, in una rivoluzione tecnologica che coinvolga produzione, logistica, costruzione a automazione.

La concorrenza incalza

Di certo la Cina non è rimasta a guardare: ecco che si affaccia un nuovo concorrente nel mondo dei robot a quattro zampe, molto realistico e dal costo altamente competitivo. A1, il cane robotico della società cinese Unitree, ha fatto il suo debutto al Consumer Electronics Show (CES) di Las Vegas, all’inizio del 2020. Unitree dal maggio scorso utilizza in modo massiccio i social media per far vedere cosa A1 è in grado di fare: persino la lotta tra cani nel parco. E ballare. Il suo costo? 10 mila dollari.

Celia Guimaraes @viperaviola

 

 

Facebook, tra i buoni propositi di Zuckerberg la “nuova governance digitale”

 

Il Ceo si aspetta molto dal ricambio generazionale: “Le istituzioni non fanno ancora abbastanza per affrontare i problemi come cambiamento climatico, istruzione, casa sanità”. Mentre ribadisce che i suoi social, Facebook e Instagram, non devono interferire nel dibattito politico, per esempio vietando la pubblicità mirata

Mark Zuckerberg (Trent Nelson/The Salt Lake Tribune via AP)

Mark Zuckerberg (Trent Nelson/The Salt Lake Tribune via AP)

Il Ceo di Facebook Mark Zuckerberg, classe 1984, millennial di fatto, si porta avanti e passa direttamente ai buoni propositi per il prossimo decennio.

“Invece di sfide annuali cerco di pensare a cosa auguro per il mondo e per la mia vita, da qui al 2030″ ha scritto sul suo profilo personale sul social network.
E tra le cose importanti mette al primo posto il ricambio generazionale: “Entro la fine del decennio mi aspetto che molte istituzioni saranno guidate da millennial” spiega Zuckerberg – cosa più che probabile, se non altro per questioni anagrafiche.

E sarà un cambiamento soprattutto di prospettiva: “Ritengo che oggi molte importanti istituzioni nella nostra società non facciano ancora abbastanza per risolvere i problemi che le generazioni più giovani si trovano ad affrontare, dal cambiamento climatico ai costi dell’istruzione, dalla casa alla sanità”.

La governance delle comunità digitali
Zuckerberg ribadisce poi, ancora una volta, mettendolo tra le priorità, l’argomento delle “nuove forme di governance” per le comunità digitali, che tanto fa discutere negli ultimi tempi: “Non ritengo – ha scritto il Ceo –  che le società private debbano prendere così tante decisioni importanti che toccano i valori fondamentali della democrazia”, precisando che una delle strade da percorre è quella della regolamentazione.

Niente censura sulla pubblicità politica 
Menlo Park  ha infatti di recente riaffermato la sua decisione di non voler limitare sui social network del gruppo, Facebook e Instagram,  le inserzioni pubblicitarie dal contenuto politico mirate a specifici gruppi di persone e di non censurare la pubblicità politica, anche se basata su elementi non comprovati o distorti.

“Mentre Twitter ha scelto di bloccare gli annunci politici e Google ha scelto di limitare il targeting degli annunci politici, scegliamo di aumentare la trasparenza e dare più controllo alle persone quando si tratta di annunci politici”, ha scritto sul blog il Product manager di Facebook, Rob Leathern.

“In definitiva, aggiunge Leathern, non pensiamo che le decisioni in merito agli annunci politici debbano essere prese da società private, motivo per cui stiamo sostenendo una regolamentazione applicabile a tutto il settore”, mentre  “stiamo collaborando con i responsabili politici nell’Unione europea e altrove per sollecitare la richiesta di regolamentazione. Francamente, crediamo che prima Facebook e altre società saranno soggette a regole democraticamente responsabili su questo, meglio sarà”. E conclude: “In assenza di regolamentazione, Facebook e altre società decidono autonomamente le proprie politiche”.

Le preoccupazioni elettorali
Se Facebook, quindi, insiste sul fatto di non voler controllare i contenuti politici, i suoi critici contestano la concessione ai politici stessi di servirsi di pubblicità anche distorta, che non può essere facilmente monitorata, soprattutto in un anno di importanti scadenze come le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Ma Mark Zuckerberg va per la sua strada e, come ha ribadito ripetutamente, “Il discorso politico è importante” e Facebook non intende interferirvi.

Celia Guimaraes @viperaviola

Wwworkers, il manifesto dei piccoli imprenditori digitali dal ‘cuore verde’

 

Un manifesto per definire come fare impresa nel rispetto dell’ambiente grazie al digitale e alle nuove tecnologie. È il progetto lanciato dalla community dei lavoratori della rete Wwworkers.it che ha riunito alla Camera dei Deputati per il quinto Wwworkers Camp – organizzato in collaborazione con l’Intergruppo Parlamentare Innovazione e con il sostegno di Google e eBay – i piccoli imprenditori sostenibili, circolari, verdi, attenti all’impatto sul territorio, definiti dal Financial Times “eco-guerrieri”.

Wwworkers.it è la community che aggrega i lavoratori italiani della rete: piccoli imprenditori, artigiani, contadini digitali che grazie alle nuove tecnologie stanno innovando e ampliando il proprio business, fondata nel 2010 da Giampaolo Colletti, giornalista e scrittore, che qui spiega gli obiettivi dell’evento:

Prodotti, processi, servizi dal cuore verde

Come la casa del futuro di Tiziana Monterisi, costruita con gli scarti del riso. Gli impianti di coltura idroponica di Ferrari Farm, ispirati a Marte, unici in Europa, o ancora quelli di The Circle che uniscono acquacoltura e acquaponica.

E le traverse ferroviarie “intelligenti” di Giovanni De Lisi realizzate con pneumatici e plastica da rifiuto, e ancora Hurba il primo scooter 100% elettrico con batteria estraibile che si ricarica in 20 minuti dalla presa di corrente di casa, come anche le creazioni di design di Gustavo Aguerrevengoa che fanno rivivere Ferrari d’epoca e le sneakers Womsh in pelle nata dalle mele.

E lo storico ristorante torinese del 1700 che rinasce grazie alla filiera di prodotti a basso impatto.

Paola Pisano: il diritto di innovare

Davanti alla platea di piccoli imprenditori eco-guerrieri il ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano: “L’innovazione ecosostenibile è innovazione virtuosa. L’innovazione che dobbiamo e vogliamo sostenere anche come Governo”, ha dichiarato il ministro, che ha annunciato un emendamento per venire incontro alle esigenze dei piccoli imprenditori digitali: “Noi abbiamo deciso di partite dal diritto a innovare: un nuovo diritto semplice e dirompente allo stesso tempo. Abbiamo appena presentato un emendamento nella manovra di bilancio allo scopo di stabilire che chi ha un’idea imprenditoriale che appare irrealizzabile in ragione di una norma di legge o regolare potrà chiedere allo Stato di innovare in deroga e fare impresa per un periodo limitato di tempo. Lo Stato osserverà da vicino, misurerà l’impatto dell’innesco sulla società e se l’impatto sarà positivo cambierà le regole per spianare la strada a chiunque voglia fare impresa e innovazione in quella direzione”.

Celia Guimaraes @viperaviola