Jacopo Franchi: Ecco l’esercito dei 100mila ‘Obsoleti’

Il libro ‘Gli Obsoleti’ racconta chi sono le persone invisibili che devono vagliare e, se del caso, rimuovere, migliaia di contenuti ‘tossici’ dalle piattaforme social. Intervista di Celia Guimaraes

Chi sta dietro al flusso di informazioni e immagini che popolano i social network più famosi? Chi o cosa decide ciò che può essere pubblicato e cosa no? Chi controlla i contenuti di YouTube, Facebook, Twitter o TikTok? Jacopo Franchi ha scritto il primo libro italiano che ha come protagonisti i moderatori di contenuti nella loro eterna “competizione” e collaborazione con le intelligenze artificiali. L’evoluzione della tecnologia e la digitalizzazione, è la tesi del libro, non solo non hanno tolto lavoro all’uomo ma lo hanno rimesso al centro. Sono oltre 100.000 le persone che hanno il compito di rimuovere articoli, post, messaggi, foto e video segnalati come pericolosi dagli utenti delle piattaforme digitali Il moderatore è il prototipo del lavoratore “obsoleto”, dice Franchi, perché privo di conoscenze tecniche. Compie gesti apparentemente semplici e ripetitivi (un “clic” per eliminare un contenuto alla volta, dai video pornografici ai messaggi di odio) che potrebbero –  teoricamente –  essere svolti da un’intelligenza artificiale. E invece è un lavoro può mai essere del tutto sostituito da un algoritmo.  Controllori “invisibili”, ma forse proprio per questo sempre più coinvolti dai principali Dai fatti di cronaca al Coronavirus a Trump, dalla guerra in Siria alle violenze sui Rohingya in Birmania, dal “revenge porn” alle più frequenti violazioni delle policy delle piattaforme, entriamo nel mondo di questi lavoratori certosini, pagati un tanto al secondo, ma fondamentali per i social network. Jacopo Franchi è un social media manager di 33 anni, formazione umanistica e appassionato di tecnologia. Nel 2019 ha pubblicato “Solitudini Connesse. Sprofondare nei social media”.

Il senso di Black Mirror per il coronavirus

La pandemia può essere considerata un episodio ‘reale’ della serie tv più inquietante? Ne parlano il sociologo Derrick De Kerckhove e gli autori del libro ‘Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale’

Celia Gumaraes e il sociologo Derrick De Kerckhove

Il 4 dicembre 2011 andava in onda in Gran Bretagna, su Channel 4, ‘The National Anthem’, prima puntata della serie televisiva Black Mirror: il primo ministro, sotto ricatto, deve compiere un atto osceno. Il governo opta per non cedere, ma la decisione trapela su YouTube. Niente spoiler: finisce male.

Perché nel mondo di Black Mirror tutto, o quasi, finisce male. Dalle sei puntate delle due stagioni britanniche (più speciale di Natale) ai 15 episodi delle tre serie successive, prodotte da Netflix, che ne acquistò i diritti. Black Mirror, ormai celebre, è sinonimo di ‘distopia digitale’, che prosegue con un film interattivo, Bandersnatch, dove è il pubblico a scegliere, schiacciando un pulsante sul telecomando, il terribile destino dei protagonisti.

De Kerckhove: non c’è resistenza

Ecco come la vede il celebre sociologo, autore, accademico e direttore di Media Duemila

“Black Mirror non dà un’idea di resistenza, ti dice solo che le cose sono terribili” – Derrick De Kerckhove

Una puntata vera?

Sulla serie tv ci sono saggi e libri, che spesso si interrogano sulla visione apocalittica di una società digitale dove l’essere umano è smarrito e sconfitto. Ed ecco che, nel mondo reale, arriva la pandemia del virus Sars-Cov-2.

“Da tanti anni siamo immersi in un contesto comunicativo che viene descritto con metafore come quella della virilità, della promiscuità, del corpo a corpo”, spiega il ricercatore Vincenzo Susca, autore, con la collega Claudia Attimonelli, di ‘Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale’ (p. 352, Editore Mimesis, 2020), presentato a Internet Festival 2020, a Pisa, con il sociologo De Kerckhove.

Il parallelismo tra pandemia e distopia della serie tv, per Susca, è reale: “La pandemia, trattandosi di una vitalità di tipo biologico, ci ha mostrato quanto si possa soffrire di una condizione in cui l’altro diventa pericoloso, problematico”. E questo perché dal diciottesimo secolo eravamo abituati “a vivere tra gli artifici, ‘mediatizzando’ la propria esistenza, tuttavia di pari passo con mobilità, dinamismo, attraversamento, viaggi”.

Bisogni fondamentali, che a causa della pandemia sono stati “schiacciati sulla sopravvivenza biologica ed economica, come se tutto il resto non contasse, dimenticando la storia dell’antropologia secondo la quale l’umano vive sostanzialmente grazie e per ciò che perde, non per quello che guadagna”.

Come nella serie tv, la pandemia ci ha in qualche modo sconfitti: “In nome del restare sani, restare a casa e continuare a produrre, studiare, lavorare, abbiamo dimenticato l’essere insieme, in quel che ha di più interessante e vitale, ovvero quello che non ha finalità”, conclude Susca.

Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca, autori di ‘Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale’

Dall’oscurità all’aurora del post umanesimo

“Il titolo del nostro libro parte da ‘un oscuro riflettere’ perché Black Mirror è ciò che accade oltre lo schermo nero”, spiega la co-autrice Claudia Attimonelli, dove “siamo gettati in un condizione di oscurità perché non sappiamo che cosa ne è della nostra esistenza digitale, non la controlliamo perché la nostra immagine, la nostra reputazione digitale, il controllo che gli altri hanno della nostra vita elettronica sono al di là della nostra possibilità di essere presenti e costantemente vigilare”.

“E la pandemia ci ha messo in questa condizione di colpo”. Però emergono segnali positivi che, secondo Attimonelli,  non sono da ricercare nella visione negativa di Black Mirror: “Questa è la seconda parte del titolo, vi è secondo noi un’idea di ‘aurora digitale’, qualcosa che sta sbocciando, in questo contesto così oscuro, di positivo”.

Nella serie Black Mirror, prosegue l’autrice,  l’approccio con la cultura digitale ha “una visione apocalittica, pessimistica e catastrofica che ci mette molto a disagio, sempre. Non c’è mai una puntata in cui qualcuno riesce ad ad opporre una vera resistenza alla tragedia nella quale il personaggio viene immerso”. E quindi “sembra di trovarsi di fronte al dilemma apocalittici-integrati”, di Umberto Eco.

Secondo gli autori, invece, bisogna “comprendere che le cose stanno così; è una costatazione della realtà quella in cui siamo immersi, abbiamo notifiche continuamente, siamo sollecitati a questo tipo di legame continuo con lo spazio digitale. Se riusciamo a intravedere in questa condizione il cambiamento che l’umano sta vivendo, se riusciamo ad abbandonarci ad un post umanesimo probabilmente scorgiamo l’aurora. Perché altrimenti saremo definitivamente frustrati dal fatto di non poter cambiare lo stato delle cose”.

Celia Guimaraes @viperaviola

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